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Il mal di montagna - 1a parte

 

Lo scopo di questi articoli è quello di riassumere quali sono le conseguenze più comuni sul nostro organismo dell’alta quota e come è possibile evitare le forme più pericolose e maligne del mal di montagna.
Data l’estensione dell’argomento da trattare, si è deciso di organizzare i vari aspetti per capitoli allo scopo di descrivere nel modo più preciso possibile sia i meccanismi in gioco che i sintomi del male di montagna.

 

- L’alta quota ed i suoi effetti sul corpo umano
- Il processo di acclimatazione
- Come migliorare l’acclimatazione (e prevenire il mal di montagna)
- Classificazione del “Male di montagna”
- AMS (Acute Mountain Sickness) Mal di Montagna Acuto
- HACE (High Altitude Cerebral Edema) Edema cerebrale d'Alta Quota
- HAPE (High Altitude Pulmonary Edema) Edema Polmonare d'Alta Quota
- Il DIAMOX
- Le regole d'oro
 
La redazione sottolinea che:
Le informazioni qui riportate hanno solo un fine illustrativo: non sono riferibili ne a prescrizioni ne a consigli medici.
 
 
L’alta quota ed i suoi effetti sul corpo umano

Cominciamo con una classificazione delle altitudini:

- Alta quota: 1500 - 3500 m
- Altissima quota: 3500 - 5500 m
- Altitudine estrema: oltre i 5500 m

In termini pratici generalmente non si prendono in considerazioni altitudini inferiori ai 2500 m.
Sulla base alle attuali conoscenze possiamo dire che la soglia significativa è quella dei 3000/3500 m, quota alla quale la maggior parte degli escursionisti e alpinisti alpini sono abituati.
E’ da sottolineare, però, che la reazione dell’organismo umano all’altezza è soggettiva.
Soggetti diversi hanno differente suscettibilità al mal di montagna.
Per alcuni soggetti i sintomi iniziano a comparire al di sopra dei 1500 m. La velocità di ascensione, l'altitudine raggiunta, l'entità dell'attività fisica ad alta quota e la suscettibilità individuale sono tutti fattori che contribuiscono all'incidenza e alla severità del mal di montagna.

In alta montagna, l'ossigeno presente nella miscela gassosa (il 21% di ossigeno) che compone l'aria che respiriamo è presente nella stessa percentuale di quella al livello del mare. Cambia però la pressione parziale, e si riduce notevolmente con l'aumentare della quota. È questo il motivo per il quale al nostro organismo arriva un apporto di ossigeno insufficiente (ipossia ipobarica).

La pressione parziale di ossigeno nell’aria infatti decade in modo direttamente proporzionale all’aumento della quota, risentendo solo marginalmente della temperatura e dell’umidità dell’aria.
La pressione parziale di ossigeno nell’aria passa infatti da circa 160 mmHg a livello del mare a circa 110 mmHg a 3000 m, portando la saturazione di ossigeno nel sangue da 98% al 90%.
A quote comprese tra i 5-6000 m la pressione parziale di ossigeno scende a 80 mmHg e sulla cima della vetta più alta del mondo, il monte Everest a oltre 8800 m, la pressione parziale di ossigeno è meno di un terzo (circa 50 mmHg) rispetto a quella presente a livello del mare e la saturazione di ossigeno nel sangue precipita al 25%.
Il corpo umano pertanto è chiamato a rilevanti adattamenti sia respiratori che cardiovascolari e metabolici per consentire la sopravvivenza in quota.
Seppure con una grande variabilità individuale tali adattamenti possono non essere adeguati e produrre di conseguenza quei sintomi tipici delle patologie correlate alla quota.

Alcuni normali e fisiologici cambiamenti avvengono in ogni persona che vada in quota:
- Iper-ventilazione (respiro più veloce, più profondo o entrambi)
- Respiro "corto" durante lo sforzo
- cambiamenti nel ritmo respiratorio notturno
- frequenti sveglie notturne
- aumento delle urine.
 
Il processo di acclimatazione
Vediamo ora di descrivere in modo più particolareggiato ogni singolo effetto.
La salita oltre i 2000 metri d’altitudine, comporta delle modificazioni fisiologiche nell’organismo, definite “acclimatazione”.
Queste variazioni occorrono a carico dei seguenti apparati:

·         Respiratorio: la presenza di una minore concentrazione d’ossigeno (ipossia) in alta montagna, è compensata da un incremento della profondità del respiro e della frequenza respiratoria (iper-ventilazione). La comparsa di un lieve stato di affanno durante l’esecuzione di uno sforzo fisico e una condizione normale.
·         Cardiaco: il cuore, come risposta all’ipossia, aumenta la frequenza dei battiti e il volume di sangue pompato (portata cardiaca). Questo meccanismo di compenso, fornisce una maggiore quantità di sangue ossigenato ai tessuti periferici. L’aumento della portata cardiaca si riduce nei giorni seguenti senza tornare, però, agli stessi valori presenti a livello mare.
·         Ematopoietico: l’aumento dei globuli rossi iniziale è legato alla contrazione della milza, ma se il soggiorno si protrae qualche settimana è attivato il processo di produzione degli eritrociti, chiamato “eritropoiesi”.
Per compensare il minor apporto di ossigeno ad ogni respiro si è costretti a respirare più velocemente e più profondamente e con lo sforzo questo si fa più evidente, per esempio camminando in salita. Restare senza fiato è normale fintanto che, con il riposo, si riprende una respirazione normale.
L'aumento della frequenza respiratoria è di fondamentale importanza e va assolutamente evitato qualunque fattore che lo deprima. Chi è in quota e soprattutto chi ha sintomi di mal di montagna deve evitare assolutamente:

- alcool
- sonniferi
- antidolorifici se non in dosi minime

La respirazione periodica consiste in cicli di respirazione normale che gradualmente rallenta fino ad una breve apnea che può durare 10-15 secondi. Può migliorare leggermente con l'acclimatazione ma non scomparirà fino alla discesa a quote "normali". Questo non è mal di montagna
Nonostante questi meccanismi compensativi è comunque impossibile ripristinare i normali livelli di ossigeno nel sangue in alta quota.
La frequenza respiratoria accelerata e protratta nel tempo è causa di una riduzione dell'anidride carbonica, il rifiuto metabolico della respirazione che viene espulso dai polmoni. La presenza oltre certi limiti dell'anidride carbonica nel sangue è il segnale al cervello che innesca l'atto respiratorio e se questa è bassa l'automatismo della respirazione non parte (la mancanza di ossigeno è un segnale molto più debole che agisce solo come valvola di sicurezza). Fintanto che si è svegli non è difficile avere una respirazione cosciente, ma di notte si instaura un anomalo ritmo respiratorio dovuto all'alternarsi di questi due segnali contrastanti.
Ne risulta un innalzamento dell'ematocrito (concentrazione dei globuli rossi) e forse una maggiore capacità di trasporto dell'ossigeno e un'opposizione alla tendenza alla formazione dell'edema.
E' normale in quota urinare più del normale, se non è così vuol dire che vi state disidratando o che non vi state acclimatando a dovere.


Come migliorare l’acclimatazione (e prevenire il mal di montagna)
Una volta superati i 3.000 metri la gran parte degli scalatori d'alta quota seguono la "regola aurea":


cammina in alto, dormi in basso.
Per gli scalatori d'alta quota, il modo per acclimatarsi consiste nello stare per alcuni giorni al campobase, arrampicarsi (lentamente) fino a un campo più alto, starvi inizialmente per una notte, quindi tornare al campo base.
Questo procedimento viene ripetuto alcune volte, aumentando ogni volta il tempo trascorso a quota più elevata, così da abituare il corpo ai livelli di ossigeno.
Una volta che lo scalatore si è abituato a tale altitudine, il processo viene ripetuto con un campo posto a quota più alta. La regola generale e quella di non salire più di 500 metri al giorno per dormire.
Ciò significa che si può scalare passando da 3000 a 4500 metri in un giorno, ma si deve discendere fino a non più di 3500 per dormire (o dormire per due notti alla stessa altitudine se si è saliti di un’altezza doppia).
Questo processo non può essere accelerato, e ciò spiega perché gli scalatori devono passare giorni (o anche settimane a volte) per acclimatarsi, prima di tentare la scalata ad un'alta vetta.
I tempi di acclimatazione variano da persona a persona e non è possibile dare regole assolute ma in generale seguire le seguenti raccomandazioni è la maniera migliore di evitare l'insorgere di seri problemi:

  • passare una notte almeno sotto i 3000 m;
  • evitare assolutamente sforzi e affaticamenti nella fase di acclimatazione, anche se vi sentite in forma procedete al 50% delle energie disponibili;
  • oltre i 3000 metri non si dovrebbe salire di più di 500 m di dislivello al giorno;
  • ogni 1000 m passare due notti alla stessa quota;
  • l'ideale è dormire più in basso del punto massimo raggiunto durante il giorno.

Ciò non è sempre possibile, soprattutto nelle valli himalayane, il giorno di sosta diventa così di fondamentale importanza. Un'eventuale escursione leggera a quote superiori con rientro al punto di partenza nella giornata di "riposo" è una buona tattica

Forti sconvolgimenti avvengono nella chimica del corpo e nel bilancio dei fluidi durante l'acclimatazione.
Il centro osmotico che rileva la "concentrazione" del sangue reimposta i suoi parametri con il risultato che il sangue si fa più denso. Da ciò deriva una diuresi da altitudine, con i reni che espellono una maggior quantità di liquidi.
E’ consigliato bere più acqua del normale durante l’acclimatazione, con lo scopo di combattere la disidratazione indotta, sia dalla secchezza dell’aria, che dall’iper-ventilazione.
Una buona idratazione riduce l’insorgenza delle patologie legate all’aumento dei globuli rossi e alla conseguente maggiore viscosità del sangue. Sono molti, infatti, i casi di tromboflebiti degli arti inferiori che insorgono in alpinisti disidratati.
È talvolta possibile controllare un lieve mal di montagna prendendo volontariamente dieci o dodici ampi e rapidi respiri ogni cinque minuti. Se ciò viene strafatto, si può espellere troppa anidride carbonica provocando un formicolio alle estremità del corpo.
Diete ad alto contenuto di carboidrati possono fornire un sollievo sintomatologico. I carboidrati sono in grado di garantire un apporto di energia ed ossigeno maggiore di quanto non facciano i lipidi.

L'acetazolamide (Diamox) è di grande aiuto nel regolare i meccanismi respiratori e favorisce l’acclimatazione.
 
 
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